PRODOTTO
Dal latino prodùctus, participio passato di prodùcere, condurre innanzi, portare fuori. Prodotto è ogni cosa che si produce dalla terra o naturalmente o per arte. Secondo la sua etimologia, “prodotto” deriva dal latino “productus”, cioè qualcosa che è “portata fuori” come una nascita e “condotta avanti” come un qualcosa che si innova e si evolve. La parola prodotto si riferisce originariamente al “frutto” della natura e, solo successivamente, il suo significato è stato esteso anche al risultato di attività umane e meccaniche. Il prodotto, per l’uomo, ha infatti a che fare con ciò che è utile alla sopravvivenza o a ciò che può migliorare la qualità della sua vita. Il prodotto è quindi opera di creatività, una speciale energia, che genera e fa crescere. Il prodotto autentico è il solo capace di recuperare la sua densità di senso. Così stringe legami tra persone, tra passato e futuro. Un prodotto autentico non è in contrapposizione alla globalizzazione, al contrario. Più un prodotto è autentico, più è apprezzato nel mondo e più è capace di esportare cultura.
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Il prodotto è quindi opera di creatività, una speciale energia, che genera e fa crescere. La parola “prodotto” ha infatti, anche un’altra radice molto eloquente. Esso deriva dal greco poiéo, che vuol dire agire, comporre, creare. Questa etimologia ricorda un’altra parola: la poesia. Poesia (poièsis) ha, appunto, la stessa identica radice della parola prodotto e richiama all’idea dell’”arte” dell’inventare e comporre. Un’arte che nasce dall’anima, dall’inconscio e dal talento (istinto) e si realizza attraverso abilità, strumenti e metodo (tecnica). Un prodotto realizzato con arte riesce meglio ad esprimere i suoi valori attraverso le sensazioni che a sua volta trasmette rientrando in contatto con l’uomo. Il Mediterraneo sa ancora tenere alto il significato della parola creatività. Questo infatti resta legato all’arte di generare prodotti per lo più utili alle funzioni primarie ed a garantire la sopravvivenza nonché a migliorare la propria qualità di vita in armonia con l’ambiente e quindi, nel pieno rispetto del significato della parola “prodotto”.
La natura lavora instancabilmente ed infatti “produce” senza sosta in quanto mette perfettamente in equilibrio tutti gli elementi che partecipano alla “produzione” perpetuando il ciclo della vita (nascita, crescita e morte) e rispettando la regola numero uno degli ecosistemi e cioè, che il prodotto offerto deve essere restituito in un’altra forma ma con equivalente energetico. La natura produce incessantemente e ciclicamente le fonti principali per la nostra esistenza e sopravvivenza. Una su tutte: il cibo. C’è qualcosa di più importante del cibo per l’uomo? Il nutrimento del corpo è il bisogno numero uno dell’umanità. Acqua ed alimenti sono il bene primario per la nostra sopravvivenza, la nostra salute e la nostra felicità. Il nutrimento dello spirito ed il nutrimento dell’anima, non possono supplire al bisogno vitale di cibo. Intorno al cibo ruota, e ruoterà sempre, la più importante economia reale mondiale. Per questo il cibo è stato il primo prodotto colpito dal mercatismo, il primo a subire e a trasmettere l’inquinamento culturale e ambientale iniettato dall’industrializzare la cattiva alimentazione.
Con la parola prodotto ci si riferisce anche ad una delle cd. quattro leve del marketing sulle quali, si agisce per generare un bisogno prima latente o addirittura inesistente e spingere -o quantomeno invogliare- il consumatore attuale o potenziale ad acquistare quel prodotto. Ad oggi, anche la concezione stessa di mercato, vista e rivista in continuazione dall’economia, dalla finanza e dal marketing, cerca di tendere sempre più verso una raffigurazione artificiale del mercato tipico mediterraneo, dove gli stimoli sensoriali, emotivi e cognitivi restano ineguagliabili e fonte di conoscenza prima ancora che di occasione di scambio commerciale. Con il “marketing mediterraneo” si giunge ad una sorta di trionfo del falso e dell’imbroglio. Attraverso questa branca del marketing, dal nome così accattivante e suadente, si crede ancora che il marketing possa “piegare” eticamente ed umilmente le sue tecniche ed i suoi scopi per rispondere ai nuovi bisogni. Ma nell’etica del prodotto, quello vero che viene dalla terra, dal legno, dal lavoro, passione e conoscenza dell’uomo, non è così. Urge la necessità di riportare le cose nel loro giusto valore ed affrancare le parole dagli abusi di significato che negli anni hanno solo sporcato la loro vera portata e valenza semantica. Una via senz’altro praticabile, sarà quella della comunicazione costruttiva. “È la comunicazione costruttiva quindi che si deve ricercare, quella capace di identificare vie comuni, non attraverso il predominio di una delle parti o attraverso compromessi che appiattiscono e sterilizzano le identità (vedi gli attuali processi di globalizzazione), ma quella capace di individuare, proprio nelle diversità, il valore aggiunto e la ricchezza con cui costruire”. Comunicare efficacemente è un’eccellenza dell’uomo e come tale non è confinabile alle attività di promozione di un brand o di un prodotto. Le dinamiche della comunicazione avvolgono tutto. “[…] I processi di comunicazione costruttiva ispirano la genesi spontanea e continuativa di nuovi modelli di business, nonché i modelli organizzativi idonei a realizzarli. […] I nuovi modelli di business, quindi, dovranno sempre più essere fondati su prospettive diverse: ricerca del benessere comune e diffuso, valorizzazione e rigenerazione delle risorse, rispetto delle identità, crescita congiunta di tutti gli stakeholders, visioni di lungo periodo”. Allontanandosi dall’attuale mondo della comunicazione che di fatto svuota le parole della loro ricchezza e, mettendosi al fianco di chi produce, si potrà convergere verso una nuova prospettiva del comunicare. La funzione della comunicazione interna all’azienda, ad esempio, non è da intendersi in senso tradizionale e cioè quella che, al fianco del marketing dell’azienda, si occupa della comunicazione esterna, dell’ufficio stampa, delle brochure, delle fiere, del sito, ecc. Certamente anche quelle resteranno attività di sua competenza, ma la prima e più importante funzione sarà quella di mettere in comunicazione il prodotto con il territorio, con le sue risorse, tradizioni e soprattutto con i suoi ritmi naturali. E poi ancora, recuperare ed attualizzare la cultura del prodotto, trasmetterla all’interno dell’azienda modificando saperi e risultati. Facilitare il ripensare e riprogettare il prodotto ed i bisogni che può soddisfare. Affinare il ruolo pubblico e di interesse generale per la collettività-comunità in cui l’azienda è immersa ed imbastire reti di interesse sociale e culturale intorno alle attività dell’impresa. Dietro ad un’idea, un progetto, un’impresa o un prodotto c’è sempre una persona ed è prima di tutto con quella che il comunicatore mediterraneo – e L’Accademia del Mediterraneo stessa – desidera entrare in sintonia. Non c’è spazio, in questo rapporto, per freddi ruoli di fornitore o cliente, ma solo per persone unite da un’ispirazione. Allo stesso modo, il progetto o il prodotto, devono essere messi al vaglio di colui che è chiamato a fornire le sue competenze comunicative. Finalità, impronta ecologica, sistemi di lavoro e di produzione, affidabilità, benefici per la collettività e così via, sono solo alcuni dei filtri attraverso i quali si può scegliere di offrire il proprio contributo oppure no.
Affidarsi alla comunicazione del marketing attuale, significa riempire il prodotto di vacue parole. Vuol dire creare una facciata accattivante, esteticamente perfetta su di un palazzo costruito con la carta. È lo stesso valore che si attribuisce oggi alla smania della ricerca del packaging perfetto, nella convinzione che l’estetica effimera possa prevalere sul contenuto. Davanti ad un prodotto vero, autentico, con una sua forte identità, ricorrere a tali stratagemmi è un insulto e nei confronti di chi l’ha realizzato e nei confronti del prodotto stesso. La comunicazione vera e costruttiva rende giustizia al prodotto esaltandolo nella sua giusta misura. Attraverso tale comunicazione il prodotto conserva le sue qualità e sarà percepito nella sua autenticità. La percezione di autenticità è ancora più forte se il prodotto resta lontano dai canali commerciali. L’autenticità infatti, non è legata solo ad un luogo, ad una lavorazione particolare o a materie prime tipiche, ma anche ad una ritualità ben precisa che parte dalla produzione, alla vendita, alla preparazione ed al consumo condiviso. Il rito garantisce l’autenticità in quanto esso diviene conduttore di memoria, di unione comunitaria, di convivialità. Il prodotto, così, recupera la sua densità di senso e diventa potentissimo medium tra i legami tra persone, tra passato e futuro. Un prodotto autentico non è in contrapposizione alla globalizzazione, al contrario. Più un prodotto è autentico, più è apprezzato nel mondo e più è capace di esportare cultura. Creare un contenuto vuol dire riconoscere e dar voce ad un’idea che pulsa, mettere in luce la sua anima creandone un concetto che possa diventare prodotto. Cioè qualcosa che può essere offerto, compreso, condiviso. Qualcosa che possa essere davvero utile magari a migliorare la vita comune. Rendere prodotto un contenuto, vuol dire mettere in campo una tecnica, che lo renda riproducibile, migliorabile. Ma la tecnica non basta, altrimenti non è produzione (poièsis) ma prassi. Nella sua pericolosa ripetizione si nasconde l’inaridimento, la possibile devitalizzazione del genio creativo e dell’intuito che, invece, affidandosi alla memoria del corpo e alle percezioni, sa mettere in moto l’istinto che difende la nostra sopravvivenza e progetta la nostra evoluzione. Un prodotto, e ancor più un servizio, non può essere mai uguale all’altro se deve incontrare la felicità di persone diverse. Così ogni processo di produzione non può integralmente essere uguale all’altro. Questa è una condizione naturale per chi eroga servizi, soluzioni apparentemente intangibili.
Senza una comunicazione di verità e quindi costruttiva, si rischia soprattutto di disperdere la vera ricchezza che si genera dal produrre. Sarebbe molto grave lasciar disperdere questa sorta di narrazione-dialogo maestra ed amorevole, perché ciò permette di preservare la storia ed il sapere e, soprattutto, rigenera il futuro su fondamenta di sogno ma anche di realtà. Una narrazione preziosa che oggi rischia di non avere mani nuove a cui consegnare l’unicità della conoscenza per costruire un futuro stabile. Molti mestieri e molti prodotti stanno scomparendo e con loro si dissolvono saperi e sapori, conoscenza e felicità. Si disperdono le esperienze e le abilità che crescono nel rapporto con la terra, il mare, il cielo. Si frappongono interferenze nel contatto con la materia, con la pietra, il legno, con il cibo e con la gente. L’Italia e il Sud possono rinascere nella misura in cui queste piccole grandi sapienze torneranno a rigenerarsi. È questa l’Italia che vince – e da cui parte il “lavoro” dell’Accademia del Rinascimento Mediterraneo -, che crea, che costruisce e che indica la via al mondo. L’Italia che resiste e supera la crisi è quella del genius loci che vive e cerca di proteggersi sotto il tetto delle microimprese familiari, ancora attente al prodotto e alla sua dimensione umana. La capacità di sopravvivere, di allearsi con il tempo e di gustare la felicità, appartiene alle mani che si sanno sporcare ancora per conoscere le cose intorno ad esse, per comunicare con loro, con ogni singolo particolare e con il tutto, in un dialogo sensibile, duro, operoso e giocoso teso a rendere arte di vita l’azione quotidiana.