Verità
Col termine verità (in latino veritas e in greco αλήϑεια) si indicano una varietà di significati, che esprimono un senso di accordo con la realtà, e sono in genere collegati col concetto di onestà, buona fede e sincerità. Non c’è una definizione univoca su cui la maggior parte dei filosofi e studiosi concordino. Tuttavia, dall’antica Grecia in poi la verità era intesa non come semplice realtà di fatto, ma come un atto dinamico: movimento di rivelazione dell’essere. La verità, come valore etico, è bisogno fondamentale dell’anima. La verità come la luce, serve a far distinguere ciò che è da ciò che non è. La verità è costruita dai processi sociali e rappresenta la lotta di potere all’interno di una comunità. Per metterla in atto serve una comunicazione cooperativa, fondata sulla fiducia, lealtà ed autenticità. Non c’è cooperazione senza comunicazione autentica, quella che nasce dalle scoperte e dal confronto tra verità differenti, quella proveniente da “identità autentiche”. La verità è immensamente più potente della menzogna, ma ha bisogno di tempo, poiché impegnata a lavorare e costruire.
*******
Il nostro termine “verità” proviene dal latino veritas. Anche il termine greco alètheia viene tradotto con “verità”. Ma si tratta realmente dello stesso concetto espresso con due parole di origine diversa o dietro questa duplicità di forme c’è una differenza di significati? Alètheia viene da “lanthano” che vuol dire “coprire”. Da lanthano proviene Lete, che è il fiume dell’oblio, il fiume che copre. Alètheia, con l’alfa privativo è ciò che si scopre nel giudizio. Nel nostro ambito latino, veritas è un termine che proviene dalle zone balcanica e slava. In origine, stava a significare “fede”, nel senso più ampio della parola. Tant’è che in russo “vara” significa fede. Anche in italiano, l’anello della fede, è detto “la vera”. Di conseguenza, si può affermare che siamo di fronte ad una “doppia verità”. In ciò che diceva Averroè, quando parlava di “doppia verità”, vi è una sottilissima visione storica e critico-filologica del significato di verità. Qual è la doppia verità? Da un lato la “verità di fatto” è ciò in cui ho fede, per cui l’assumo come vera senza nessuna riflessione critica: questa è la nostra veritas. L’altra verità è quella che Leibniz aveva chiamato la “verità di ragione”, per la quale sufficit la ragione. La ragion sufficiente, distinta dalla verità di fatto. Ed ecco apparire le due verità: l’una è fede, che è una cosa, e quindi dovrebbe entrare in tutto un altro ambito, l’altra è logica che scaturisce attraverso il saper pensare: si scopre la condizione che permette di definire la cosa e quindi questa diventa vera nel giudizio, nel logos, nel ragionamento che la viene determinando.
L’esigenza di ricercare la verità fu un tratto caratteristico già della filosofia greca, che per prima sollevò il problema dell’essere, ossia di ciò che veramente è. Il termine greco utilizzato per indicare la verità era άλήθεια, alètheia, la cui etimologia, come ha messo in luce Heidegger, significa «non nascondimento», in quanto è composta da alfa privativo (α) più λέθος, lèthos, che vuol dire propriamente “eliminazione dell’oscuramento”, ovvero disvelamento. La verità infatti era intesa non come una semplice realtà di fatto, ma come un atto dinamico, mai concluso, attraverso cui avviene la confutazione dell’errore e il riconoscimento del falso: non un pensiero statico e definito una volta per tutte, bensì movimento di rivelazione dell’essere. Se i sofisti, da un lato, tendevano a relativizzare il concetto dell’essere sulla base di un soggettivismo e nichilismo radicali, fu con Socrate e il suo discepolo Platone che si ebbe una forte reazione a questa concezione, facendo della verità un bisogno fondamentale dell’anima, che si distingue nettamente dalle opinioni per la sua intrinseca validità ed oggettività. Ne conseguì il carattere etico della verità. Sarà poi con Aristotele che verranno fissati in maniera quasi scientifica i caratteri della verità. Egli, ad esempio, giudicava erroneo il detto del sofista Protagora secondo cui «l’uomo è misura di tutte le cose», proprio perché privava la verità di coerenza logica e di qualunque criterio oggettivo. La verità si ha per lui, quando l’intelletto giunge a coincidere con l’oggetto da conoscere, facendolo passare dalla potenza all’atto. Nella contemplazione fine a se stessa della verità risiede per Aristotele la felicità e lo scopo ultimo della conoscenza metafisica.
I principali argomenti di dibattito sul concetto di verità riguardano la sua definizione, identificazione, nonché la questione se la verità sia qualcosa di soggettivo, oggettivo, relativo, o assoluto. In ogni caso, il dibattito sulla verità, passa attraverso le umane vie della comunicazione. Che fine ha fatto ad oggi la necessità di comunicare il vero? L’uomo è consapevole del valore performativo delle parole messe insieme a formare una frase, della possibilità di produrre fatti e conseguenze con le parole. Tuttavia oggi assistiamo ad un uso/abuso della comunicazione. I comunicatori, sanno perfettamente quale potente mezzo sia la comunicazione e quali effetti si possano generare a proprio vantaggio (e a discapito altrui), semplicemente manipolando i fatti, la realtà o peggio ancora la verità, con un uso sapiente, maniacale, esasperato delle parole. Possiamo dire che quasi da sempre l’uomo ha cercato di usare la comunicazione per avvicinare o allontanare dalla realtà, dal vero, specie se scomodo. Un esempio su tutti è il manzoniano “dot. Azzeccagarbugli” che per creare distacco tra lui, il suo interlocutore e la verità, ricorreva ad un linguaggio oscuro, contorto e farraginoso. Ad oggi, nel mondo della comunicazione, specie quella pubblicitaria, del marketing, politica e via dicendo, non solo non è cambiato nulla, ma addirittura, assistiamo a forme di estremizzazione e trasfigurazione della verità, attraverso la spettacolarizzazione delle parole. La comunicazione competitiva, ad esempio, fa leva sulla verosimiglianza dei messaggi e nel peggiore (ma sempre più frequente) dei casi sul falso e sulla menzogna, mentre è la comunicazione cooperativa (che promuove ed incoraggia L’Accademia del Rinascimento Mediterraneo) si fonda sulla fiducia, lealtà ed autenticità della provenienza del contenuto e della destinazione dei messaggi. “La crisi che stiamo attraversando e che molti descrivono come una crisi di fiducia, è in realtà – più semplicemente – una crisi di verità. Trent’anni di condizione post-moderna hanno purtroppo rappresentato un alibi etico per tutti coloro i quali hanno voluto mettere sullo stesso piano la veridicità (delle immagini, dei racconti, della comunicazione) e la verità, nascondendo il valore autentico dei processi, e non considerando con la dovuta attenzione la verità dei comportamenti. È questo il motivo per cui diventa interessante riflettere oggi sul grande ritorno dei Grandi Valori e dell’intero orizzonte dell’Autenticità. […] Tecnologia, commercio, politica, religione, artigianato e industria, rimangono coinvolti in una prospettiva unica e convergente di produzione e rappresentazione dell’autentico e del vero.” La convergenza verso l’autentico è una strada stretta agli occhi di chi si muove per vie brevi ed individualiste, ma al contempo appare ampia e ricca di risorse prodigiose a chi comprende il valore della cooperazione. Non c’è cooperazione senza comunicazione autentica. La menzogna è la dirompente arma con cui il (micro o macro) potere fine a se stesso scalza in brevissimo tempo chi lavora con onestà e competenza per il bene di tutti. Nega l’evidenza e fa leva sulle debolezze che tutti abbiamo. È un fuoco di paglia che accende ambizione, invidia ed orgoglio generando veleno. È potentissima, ma la sua efficacia dura poco. Persiste solo nei malvagi, chi invece si è solo lasciato plagiare, dopo poco cercherà ancora il profumo della verità. La menzogna mirata ad uno scopo funziona proprio come una campagna di comunicazione. Si fonda generalmente sul viral marketing, cioè passaparola sul filo del veleno. Solo il tempo può restituire forza alla verità. La verità non cerca cordate. È impegnata a lavorare e costruire. Cerca collaboratori con i quali condividere visioni e progetti che possano portare luce a tutti. La verità si fortifica sull’instancabile esempio di chi continua a lavorare. Il tempo è il suo alleato. Con il tempo, se non si resta schiacciati dalla demotivazione che genera la menzogna, la verità esce da sola. Da sola restituisce la vista a chi vuol vedere. La verità è immensamente più potente della menzogna, ma ha bisogno di tempo. L’Accademia del Rinascimento Mediterraneo proprio ponendo alla base dei suoi valori fondanti la verità, aspira a divenire contenitore di una nuova maggioranza. Una maggioranza che si faccia sentire sciogliendo l’omertà e la paura. C’è una reale urgenza di rinascita legata ad un percorso iniziatico, simbolico, per alcuni aspetti magico, che attraversi il tempo e lo spazio. Un percorso di “rinascimento” esplicito, condotto alla luce del sole, senza ambiguità, sul filo della bellezza e della verità. Una Bellezza che il mondo reclama a gran voce, una Verità di cui si avverte un disperato bisogno.
In ambito neoplatonico, Plotino concepì la verità, come un atto che si auto-avvalora in virtù della propria intrinseca forza e autenticità. Egli la assimilò alla luce: come questa si rende visibile agli occhi rendendo possibile la visione degli oggetti sottraendoli all’oscurità, così la verità si rivela non per dimostrazione, ma per la sua stessa capacità di rivelare l’essere al pensiero, di farci distinguere quel che è da ciò che non è. Recuperando la tradizione neoplatonica, Spinoza dirà che la verità è criterio di se stessa, mentre il falso può essere riconosciuto solo a partire dalla verità: conoscere una verità significa anche sapere di conoscerla, e sapere al contempo che il falso le si oppone. La verità è costruita dai processi sociali e rappresenta la lotta di potere all’interno di una comunità. Dire e dirsi la verità è fondamentale, per liberarci dalla menzogna, dalla finzione ed astrazione dei nostri tempi. Infondo, non è la verità assoluta che ci interessa ma quella dinamica, frutto delle scoperte e del confronto tra verità differenti, proveniente da “identità autentiche”. Solo attraverso questa pratica, saremo in grado di essere davvero liberi. Certo la verità può essere scomoda via da praticare, ma come sosteneva Georg Lichtenberg: “È impossibile portare la fiaccola della verità in mezzo alla folla senza bruciare qua e là una barba o una parrucca”.