di Cosimo Specolizzi
“La distanza che ci separa da quel luogo è incalcolabile, può trattarsi di una strada o di un intero mondo”
Non avrei mai pensato che l’Uomo potesse commettere azioni così sconsiderate fino ad operare una trasformazione così rovinosa del paesaggio. In tanti continuiamo a domandarci quale matrice culturale ci sia all’origine di scelte irresponsabili; scelte che ci lasciano davanti agli occhi uno spettacolo terrificante.
Io stavo lì ritto, lo sguardo fisso, inerme, avevo tolto la corazza, non provavo nulla, davanti a me lo scempio.
Ci sono probabilmente immagini nella nostra memoria di cui non possiamo e non riusciamo a liberarci mai più. Eppure niente di tutta questa ‘devastazione si è inciso in maniera più tagliente in noi. Per quel che mi riguarda non sarebbero necessari altri disastri nel corso di questo operare, non è più tempo di guardare passivamente questa guerra contro l’ecosistema e la natura. Chiunque si trovi ancora in quel luogo, vede, coperta di rottami, cadaveri, arnesi di guerra, la costa che un tempo dominava e, se si volta, vede la città distrutta. Guardiamo inermi il campo di battaglia e ci domandiamo per quale trofeo abbia combattuto il vincitore, per un simulacro malato di quale modernità? Di quale progetto di vita e di futuro? E quale liberazione è concedersi un no: No, dirselo proprio e con coraggio: io voglio un’altra cosa.
In questi brevi sintagmi è ben custodito l‘antefatto, il prologo alla tragedia immane e irreversibile che sta dietro l’angolo: la desertificazione.
L’eccessivo sfruttamento degli acquiferi carsici ha prodotto da tempo, l’insorgenza del fenomeno della salinizzazione delle acque di falda superficiali nel territorio del Salento, ma non solo. L’ area che va da Otranto a Gallipoli coprendo parte del Salento è definita dagli studiosi MOLTO SENSIBILE ALLA DESERTIFICAZIONE.
Cosa si intende quando parliamo di desertificazione, proviamo a definirne i connotati essenziali “Degrado delle terre nelle aree aride, semi aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause fra le quali le variazioni climatiche e le attività antropiche”.
La Conferenza delle Nazioni Unite sulla Desertificazione, tenutasi a Nairobi nel 1977, adottò una definizione di desertificazione (“riduzione o distruzione del potenziale biologico del terreno che può condurre a condizioni desertiche”) che prescindeva dalla collocazione geografica (polari o tropicali) delle aree colpite, dalle loro caratteristiche climatiche, dalle cause (naturali o antropogeniche) e dai processi (salinizzazione, erosione, deforestazione, ecc.) all’origine del degrado del potenziale biologico del suolo. La desertificazione costituisce attualmente uno dei più impellenti e gravi problemi che minacciano l’umanità. La desertificazione minaccia infatti già oggi la sicurezza alimentare e la sopravvivenza di circa un miliardo di persone nelle aree più povere dei cinque continenti. Ma noi che leggiamo e che viviamo in un paese che è tra gli 8 più ricchi del mondo pensiamo di non avere nulla a che fare.
In Puglia solo il 7% del territorio regionale non e’ affetto dal rischio deserto, mentre il 93% e’ mediamente sensibile (47,7%) e molto sensibile (45,6%) con le aree dietro il Gargano, molta parte della zona costiera e la fascia che va da Otranto a Gallipoli coprendo parte del Salento.
Le cause evidenziate sono composte da due fattori principali: l’intervento antropico quindi umano e fenomeni di origine naturale.
I fattori naturali che hanno determinato aree aride, caratteristica climatica determinata dalla contemporanea scarsità di piogge (aree con precipitazioni annue inferiori a 600 mm) e dalla forte evapotraspirazione che sottrae umidità ai terreni e alla vegetazione.
La zona con i massimi valori di piovosità annua nel Salento è quella orientale (Otranto, Tricase, Leuca) con 834 mm. di pioggia. L’area occidentale (Gallipoli, Ugento), invece, è quella che vanta i valori annui minimi con 567 mm. di pioggia.
La diminuzione delle precipitazioni con conseguente incremento delle temperature è causa della disgregazione del suolo oppure il trasporto e il dilavamento dello stesso a causa di piogge intense anch’esse risultato della tropicalizzazione del clima.
Le responsabilità dell’azione umana o antropica sono più articolate e imbarazzanti a partire dall’uso sconsiderato delle risorse idriche (penso a quanti prati all’inglese e a quante piscine agronomi paesaggisti e professionisti del verde hanno progettato in questi ultimi decenni nel Salento), consumo non sostenibile delle acque superficiali e acquiferi sotterranei, gli incendi che distruggono le comunità animali e vegetali, con gravi effetti sulle proprietà fisico-chimiche del suolo (il fuoco raggiungendo temperature altissime distrugge i depositi di semenza accumulati al suolo), urbanizzazione selvaggia e abusiva che sottrae suoli fertili e impermeabilizza il suolo stesso, in generale qualsiasi sottrazione di suolo fertile e o realizzazioni infrastrutturali non pianificate, tutto ciò nel Salento ha innescato processi di vario grado di degradazione relativa a erosione dei suoli, perdita di sostanza organica, salinizzazione, inquinamento, perdita di biodiversità.
La desertificazione è il risultato di un complesso sistema di interazioni che pregiudica in modo pressoché irreversibile la capacità organica e produttiva degli ecosistemi agricoli e forestali.
Proviamo a scandagliare i fitti reticolati di quella che sembra essere la causa di maggiore responsabilità rispetto alla premessa: L’azione antropica caratteristica da territori fortemente urbanizzati, mette in relazione inurbamento diffuso con conseguente cementificazione massiccia, dispendio energetico e inquinamento ambientale, rispetto ad un assetto tradizionale del paesaggio, costituito da sistemi abitativi a forte compenetrazione naturale a basso consumo di risorse.
La crisi dell’agricoltura tradizionale, caratterizzata dall’abbandono delle terre e dal deterioramento delle strutture di protezione del suolo e dell’acqua, lo sfruttamento non sostenibile delle risorse idriche, l’aumento esponenziale dell’agricoltura irrigua.
Perdite importanti della copertura forestale dovute a incendi e a deforestazione selvaggia. E’ proprio questo il processo cardine della desertificazione che con la sua azione espone il suolo all’azione del vento e della pioggia, che come effetto immediato scompare l’ombra che protegge il suolo e l’evaporazione, eliminando la copertura boschiva, non si hanno più le foglie che normalmente vengono usate come concime, e queste sono solo le conseguenze immediate della deforestazione.
Guardando più lontano, dalla costa che un tempo dominava il paesaggio, altri effetti si concatenano; i pollini spinti dal vento voleranno nell’aria non trovando vegetazione come barriera per farli cadere al suolo, il suolo stesso subirà effetti climatici rigidi, caldo d’estate e freddo d’inverno sicché né i volatili ne le altre specie ovipare depositeranno le loro uova poiché in quel determinato suolo non troveranno più il clima adatto.
Un passaggio da “Collasso” di J. Diamond, descrive l’ultima fase avutasi sull’isola di Pasqua, quando ormai la deforestazione e la desertificazione erano ad uno stadio molto avanzato (e come estrema conseguenza si ebbe la “diffusione del cannibalismo”), gli abitanti dell’isola iniziarono ad accatastare “grandi massi come barriere di protezione per evitare che i frequenti e forti venti inaridissero le colture. Massi di minori dimensioni erano invece posti a protezione di orti … Vaste aree di terreno venivano in parte ricoperte da sassi disposti a breve intervalli l’uno dall’altro, in modo che le piante potessero crescervi in mezzo”.
A che serve un campo pieno di pietre? Torna a chiedersi Diamond e risponde “L’uso dei massi e della concimazione litica fu introdotto, in maniera indipendente, in molte zone aride del mondo, quali il deserto israeliano del Negev, i deserti degli Stati Uniti Sud-occidentali, e le aree secche del Perù, della Cina, dell’Italia di epoca romana … i massi che ricoprono il suolo rendono il terreno più umido, riducendo l’evapotraspirazione dovuta al sole … la roccia riduce l’escursione diurna della temperatura … protegge il suolo dall’erosione attutendo l’impatto delle gocce di acqua piovane sul terreno …
Infine i sassi possono anche servire come <<fertilizzanti in pillole>> a lento rilascio (proprio come le pillole vitaminiche che alcuni di noi prendono a colazione) poiché contengono minerali essenziali che gradatamente si disciolgono e filtrano nel terreno”.
Esperimenti moderni negli Stati Uniti sud-occidentali sono stati effettuati allo scopo di capire perché gli antichi usassero la concimazione litica.
Nel suolo sottoposto a concimazione litica si è riscontrato sia un livello di umidità doppio del normale inoltre, tutte le sedici specie diverse di piante coltivate nell’esperimento hanno dato raccolti maggiori (con un produttività in media quadruplicata, con punte fino a cinquanta volte superiore al normale). Dati che fanno la differenza.
Un contrasto al fenomeno della desertificazione più che necessario è un atto di umanità nei confronti dei nostri “figli”, anche in ambienti ostici il disastro non è inevitabile, e la sopravvivenza dipende dalla risposta alle difficoltà.
In primo luogo è auspicabile un audace pianificazione a lungo termine, confrontarsi con scelte e decisioni prese dai nostri predecessori che in tempi lontani seppero concentrarsi non sull’immediato e o su attività remunerative dannose per l’ambiente. In molti paesi del mondo si sta mettendo in discussione la “filosofia” dell’eccessivo sfruttamento nonostante si sia trattato e si stia trattando di processi dolorosi e difficili.
Partire dall’individuo per connettersi al collettivo e avere il coraggio di una visione a lungo termine e di prendere decisioni risolute, audaci e lungimiranti proprio nel momento in cui un problema comincia a diventare percepibile, ma prima che abbia raggiunto proporzioni incontrollabili. Questa filosofia è l’opposto di quelle prese dai nostri politici che adottano la strategia dei 90 giorni: tre mesi è il massimo temporale che molti dei nostri governanti prendono in considerazione.
Sono numerosi gli esempi di scelte sbagliate prese con la prospettiva del breve termine; di fronte alla possibilità di perdere per sempre gli alberi, i capi dell’isola di Pasqua e di Mangareva soccombettero perché si concentrarono soltanto sull’immediato, così come i norvegesi della Groenlandia non vollero mutare la loro identità etnica, religiosa ed economica, e fu questa la causa della loro fine. Mentre gli shogun dell’era Tokugawa, gli imperatori inca, gli abitanti degli altipiani della Nuova Guinea e i proprietari terrieri tedeschi del XVI secolo ebbero una visione a lungo termine e salvarono le loro terre dal disboscamento.
In modo simile ci dovremmo muovere anche noi: ogni decisione a lungo termine è foriera di successo.
Riferimenti bibliografici:
“COLLASSO” Come le società scelgono di morire o vivere di Jared Diamond, Einaudi Edizioni
“Abbi cara ogni cosa” di John Berger, Fusi Orari Edizioni